Pubblicato da Chiara Giacomini il 17 Maggio 2024

RESPONSABILITA’ MEDICA: QUALE PROVA IN CAPO AL PAZIENTE DANNEGGIATO?

Abbiamo visto che una delle principali novità introdotte dalla Legge Gelli-Bianco è la possibilità per il paziente che assume di aver subito un danno a seguito di un intervento medico o di una prestazione sanitaria di agire direttamente nei confronti della Compagnia assicurativa del professionista sanitario.

L’introduzione dell’azione diretta del paziente rende di assoluta preminenza il tema dell’onere probatorio: quale prova è richiesta al paziente che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno patito a causa di un errore del professionista sanitario? Per rispondere a tale domanda è in primo luogo necessario definire la natura della responsabilità medica.

Sul tema, molto dibattuto in passato, è intervenuta da ultimo la Gelli-Bianco.

La l’art. 7 comma 3 della legge n. 24/2017 qualifica espressamente la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria come responsabilità extracontrattuale. Il medico, quindi, in linea generale risponde ai sensi dell’art. 2043 c.c. “salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente”; in tale ultimo caso la responsabilità del medico è una responsabilità di tipo contrattuale.

Questa non è tuttavia l’unica disposizione da tenere in considerazione, in quanto l’art. 7 comma 1, dedicato alle strutture sanitarie o sociosanitarie, prevede che la struttura che si avvalga della prestazione di sanitari risponde del loro operato ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c., e ciò anche se tali sanitari, non necessariamente dipendenti della struttura, sono stati scelti dal paziente. In definitiva, si tratta di una responsabilità contrattuale. Questa disposizione si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria (art. 7 comma 2).

La Legge Gelli- Bianco ha quindi previsto un doppio binario di responsabilità.

Ciò si riflette anche sul regime probatorio, perché il paziente che agisce contro il medico dovrà provare tutti gli elementi della responsabilità extracontrattuale (fatto illecito del sanitario, colpa, nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso, danno ingiusto); l’azione si prescrive in cinque anni.

L’onere probatorio è invece più agevole per il paziente nel caso di responsabilità contrattuale perché in tale ipotesi è sufficiente dimostrare, oltre alla sussistenza del contratto, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso. L’azione di responsabilità si prescrive in un termine più lungo: dieci anni anziché cinque. In relazione alla responsabilità contrattuale, il paziente non dove dimostrare la colpa del medico. Sarà invece la struttura sanitaria (o il medico nel caso in cui sia chiamato a rispondere in virtù di un’obbligazione contrattualmente assunta con il paziente) a dover dimostrare l’esatto adempimento della prestazione o l’impossibilità di adempimento derivante da una causa non imputabile al medico.

Sul punto si può ricordare la sentenza n. 28991 del 11.11.2019 della Cassazione. Con tale pronuncia la Cassazione ha avuto modo di precisare che nell’eventualità in cui venga dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario, è onere del danneggiato provare, anche mediante presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onore, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione sanitaria (da ultimo anche Cass. ord. n. 5922 del 05/03/2024).

Ai fini dell’accertamento del nesso causale (e dunque per stabilire se una determinata condotta è causa di un certo evento) si applica il criterio del “più probabile che non”.

Nella pratica un ruolo determinante è comunque svolto dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Possiamo prendere come esempio un caso tratto dal nostro portafoglio sinistri: l’assicurato, dentista, aveva ricevuto un ricorso per ATP da parte di una paziente, che lamentava danni a seguito di un intervento dentistico. La responsabilità addebitata all’assicurato era in questo caso una responsabilità a titolo contrattuale: la paziente si era rivolta direttamente allo studio dell’assicurato, libero professionista, per eseguire l’estrazione di alcuni elementi dentari e l’inserimento di protesi.

Sulla base di quanto prodotto dalla paziente, il CTU ha effettivamente ritenuto sussistente il nesso causale tra gli errori di esecuzione delle cure odontoiatriche e il danno biologico lamentato: gli interventi dentistici erano stati eseguiti proprio dall’assicurato; tali interventi erano stati immediatamente seguiti da delle complicanze clinicamente documentate; le complicanze sopraggiunte non costituivano eventi imprevedibili, ma avrebbero invece ben potuto essere prevenute ed evitate con la diligenza professionale richiesta all’assicurato. La responsabilità (contrattuale) dell’assicurato è stata quindi ritenuta provata.

Seguiranno ulteriori post di focus sulla responsabilità medica!

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